My own private Christmas

Oggi è il mio San Silvestro. Con il 30 novembre per me finisce l’anno, dopodiché ci sarà quella “terra di mezzo” che ho sempre odiato, che oltrepasso in apnea cercando di limitare il più possibile i danni. Dicembre. Il mese del Natale, quel Natale che non sono mai riuscita a farmi piacere e che probabilmente non mi piacerà mai. Non posso più nemmeno dare la colpa ai Natali del passato, quelli del liceo quando invocavo la bufera di neve per non andare a scuola, di quand’ero grassa e scongiuravo il pranzo con i parenti, di quando avrei voluto essere dove e con chi non potevo stare. E poi i Natali successivi, la solitudine interiore di certi momenti, il sentirmi inadeguata a situazioni che non mi appartenevano. Adesso è acqua passata, troppe cose belle sono successe nel frattempo, troppo belle per non essere riuscita a cancellare tutto. Qualcosa è rimasto, un ricordo seppur lontano, una sensazione subliminale che non mi fa vivere questo dicembre come tutte le altre persone, o almeno come la maggior parte di esse. Gli addobbi nelle strade, le luci che non mi danno nessun effetto, l’albero che non faccio, i regali che non voglio ricevere ma che ricevo in virtù di un rituale di scambi senza senso, almeno per me. Musiche melense, odori di cannella e pino, candele decorate... Una patina per coprire la miseria del consumismo, che è diventata banale anche come affermazione. Potrebbe anche non esserci una spiegazione: il Natale non mi piace e basta. E’ lecito? Sembra di no. Ancora dopo tanti anni, anche gli amici più vicini continuano a stupirsi del perché questo rifiuto inconcepibile, così come l’anguria e il caffè. C’è chi dice che in me manchi quel famoso lato infantile e che non abbia più la capacità di stupirmi per le cose di cui si stupiscono i bambini. Magari è vero: può essere che abbia cristallizzato il ricordo dei miei ultimi Natali in quei primi anni di vita quando credi che esista veramente qualcuno che durante la notte viene a portarti i regali e beve il latte che gli hai preparato. Sì, il Natale è per i bambini, che riescono a meravigliarsi senza cercare spiegazioni. Ma per noi adulti che senso ha? Me lo chiedo ogni volta che vengo puntualmente invitata a rispondere al quiz show di rito: “Neanche quest’anno fai l’albero?”. “No”. “Avevi detto che lo facevi”. Forse in settembre l’avevo detto. E poi le solite provocazioni: “Ti piace il mio albero?”. “Bellissimo”. “Ma a te non piace l’albero di Natale”. E allora perché me lo chiedi. “Cosa ti regala quest’anno?”. “Non ci facciamo mai il regalo per Natale”. “Ma è triste”. Ci sono cose più tristi. Triste è quel Natale che non ho mai avuto, quello che avrei voluto passare con la nonna sola, la nonna che amavo di più e che puntualmente dovevo lasciare per andare con l’altra famiglia, quella felice con gli zii, i nipoti, i nonni e tutti che aprono i regali e poi si siedono a tavola fino al pomeriggio. E poi, quando la sera tornavo a casa e passavo davanti alla sua casa senza nemmeno una luce accesa, pensavo che la nonna doveva aver avuto un’altra delle sue tristi giornate mentre io ero a far festa insieme agli altri, però sola, come lei. Soltanto adesso, dopo tanti anni, mi rendo conto che non c'è niente che si deve fare, che ero abbastanza adulta per insistere o semplicemente che avrei dovuto spiegarmi meglio e forse qualcuno avrebbe capito. Avremmo unito le nostre solitudini, io e la nonna, mangiando il panettone e raccontandoci le storie di sempre. E adesso che lei non c’è più, raccolgo questa eredità ineluttabile che forse potrebbe essere la mia vera giustificazione.