patio andaluz

Nome:
Località: Italy

Odio le persone apatiche. Di conseguenza amo quelle passionali

mercoledì, giugno 21, 2006

martedì, giugno 20, 2006

Avanti Savoia!

Un vero lord. Degno del nome di cotanta casata, su questo non ci piove. E non è ironico: basti pensare al di lui padre, ultimo re d’Italia, e al suo complice atteggiamento di fronte all’ascesa del fascismo, l’assenso alle leggi razziali, la fuga da un Paese svenduto ai nazi-fascisti...
Ma l’Italia è uno Stato civile e non si rassegna alla lezione dell’Antico Testamento secondo cui le colpe dei padri debbano ineluttabilmente cadere sui figli: così cede alle suppliche di un sedicente principe che invoca agli occhi suoi misericordiosi "la speranza di essere presto in grado, grazie alla comprensione dei parlamentari tutti, di tornare da cittadini italiani nella nostra amata patria". Ci si chiedeva per quale motivo quest’uomo, che tutto sommato se la stava passando egregiamente fra Svizzera, Messico e Portogallo (mica la Siberia), volesse a tutti i costi tornare in Italia. Ora lo sappiamo. Solo da noi ci si può macchiare d’infamia e continuare ad essere chiamato principe. O anche senatore a vita, quasi presidente del Senato. In una nazione dove due truffatrici diventano star televisive e una presunta infanticida è assunta come baby-sitter, è lecito che il figlio di un re in esilio si permetta di violare l’espressione di un referendum popolare e avanzi la pretesa di rientrare nel Paese che la sua famiglia ha mandato a ramengo, per di più con il titolo di principe. Ma se l’Italiano povero allocco non se la sentiva di dar retta alle Sacre Scritture, avrebbe potuto per lo meno affidarsi alla letteratura. Emile Zola aveva ragione di credere che le tare umane fossero ereditarie, così come l’alcolismo, anche la propensione alla truffa.
“Corruzione e falso. Inchiesta su truffe, videogiochi e prostituzione. Arrestato sul lago di Lecco. Poi trasferito a Sud”. Questo si legge. Sembra che Vittorio Emanuele fosse coinvolto in un vero e proprio mercato dei nullaosta per i videogiochi e in un giro che reclutava ragazze da offrire ai clienti del casinò di Campione d'Italia. Inoltre “Il figlio dell’ultimo Re d’Italia ha passato una notte agitata in carcere: nello scendere dal letto a castello è caduto, ma senza gravi conseguenze”. Che l’ex famiglia reale non fosse più consona ai castelli, già lo si doveva notare quando il rampollo, principe di Venezia, faceva la pubblicità ai sottaceti. Ma l’italiano è un po’ zuccone e spesso non gli basta una sola lezione. Chissà se fra qualche tempo, quando il figlio del re sarà globalmente bollato come avanzo di galera, ci sarà ancora qualcuno che continuerà a salutarlo come un glorioso Savoia. Temo di sì, temo che non riusciremo più a scrollarcelo di dosso. Il principe ha perfino promesso al suo psicologo che non tenterà il suicidio. Vediamo un po’... E se lo baciassimo? potrebbe ritornare un rospo?

lunedì, giugno 19, 2006

Il mio patio

Certo non è l’Andalusia. Sicuramente le buganville fioriranno in agosto e i gerani dureranno come sempre il tempo di un’estate. Per sentire i grilli, devo andare a catturarli nel campo e, per quanto calda possa essere una sera, caldo non è. Gli abeti vicini non contribuiscono alla coreografia e ho la sensazione che molti non apprezzino il mio sottofondo flamenco. Ma è originale anzi che no. Sicuramente unica nel raggio di molti chilometri, fin dove vive un’altra persona come me, malata di Spagna. Non importa se gli altri non mi aiutano a coltivare questa mia piccola colonia iberica, in fondo anch’ io non è che dispensi amore a profusione per il Friuli. Ma ognuno fa quel che può per crearsi il proprio habitat ideale, per stare bene con sé stesso. E se il destino non ti ha concesso di nascere nel posto in cui avresti voluto, sei libero di costruirlo, questo posto, intorno a te. Con il beneplacito delle persone con cui convivi, naturalmente. Quanto agli altri, il problema non si pone: chi sta bene con me, sta bene anche in questa casa. Dove per giunta non si mangia solo tapas e sangria, ma anche e soprattutto delle friulanissime grigliate di maiale nostrano, dove la tortilla viene chiamata comunemente frittata, e la musica flamenca impietosamente aborrita. E’ una casa democratica, purché alla terrazza venga riconosciuto il valore di “patio”.
Sotto questo portico si vive le sere d’estate. Tutti sanno di essere i benvenuti a qualsiasi ora, per un aperitivo o un dopo cena: sembra il posto adatto per passare le ore a chiacchierare. Di notte si sta a lume di candela, un po’ per le zanzare, un po’ per esigenze scenografiche. In realtà i grilli si sentsentirebbero, non fosse per un più prosaico basso continuo gracidante. Quello dei grilli comunque è un dettaglio importante solo per me, perché mi piace ascoltarli quando, alle volte, la sera rimango con me stessa a godermi questo spazio come se realmente fosse dove vorrei io. Ma tant’è. Si sta bene lo stesso, anche se non è Andalusia.

mercoledì, giugno 14, 2006

Novantesimo minuto


I rotocalchi calcistici non si chiamano più così, ma la mia ignoranza nel settore è proverbiale. Ciononostante, questo Mondiale non mi lascia del tutto indifferente, e anche io voglio partecipare con i miei personali commenti. Quelli che fanno ridere tutti quando si vede la partita in compagnia. Quelli per cui qualcuno arriva anche a compatirti per la tua stupidità. Ma non è un problema per me: resto sempre dell'idea che anche l'occhio vuole la sua parte.
Cominciamo con una nota di disappunto per gli operatori tedeschi: le loro inquadrature dall’alto non scendono nei dettagli e rendono noiose la partite, per altro già noiose di natura. Ma d’altra parte, sono crucchi e la fantasia non premia.
Tuttavia non hanno sacrificato due azioni imperdibili: il palo di Luca Toni e il conseguente primo piano che metteva in luce occhi e sorriso da copertina. L’altra ripresa da segnalare è il piano americano su Onyewu degli USA mentre si toglie la maglietta: un bel vedere, non c’è dubbio, il negraccio si è preparato bene per bucare lo schermo: se non diventerà il Pelè della California, sicuramente verrà scritturato per un serial-tv. E questa direi che è la miglior prestazione straniera.
Deludono i Brasiliani con qualche chiletto di troppo: evidentemente a Copacabana non si fa più la fame. Salviamo il fisico di Adriano e del portiere Dida, carino anche di viso.
I più brutti in assoluto i Coreani. Orrendi davvero. Secondo me non dovrebbero nemmeno farli partecipale ai Mondiali.
Passiamo alle divise. Rimane in testa quella del Brasile, anche se farebbe fine una scarpetta gialla o blu. Vada per il nero che è un classico, ma il bianco proprio no, non c’entra niente. Perfetta invece la scarpa bianca con la divisa statunitense, che premierei a pari merito con quella carioca. Bocciata la maglietta dell’Italia: la sfumatura nera sembra una chiazza di sudore. L’appuntamento è con i prossimi aggiornamenti.

domenica, giugno 04, 2006

Trentasei

La cifra in sé non dice niente, neanche sapendo che si tratta di anni. Insomma, è tutto relativo, come si suol dire. Per metà parte del mondo sei quasi anziano, per l’altra metà ancora un giovane. Grazie al cielo faccio parte di quest'ultima, anche se dal mio punto di vista non mi sento più una ragazza. Anzi, ho passato anche quella fase in cui c’è l’imbarazzo della definizione: adesso mi considero una donna a tutti gli effetti, e quasi con orgoglio ci tengo a precisarlo. Ovviamente non mi offenderei se dovessero dirmi che dimostro meno anni di quelli che ho: ma lo interpreto come un riferimento alla capacità di aver cura di me stessa, non già al risultato di una lotta contro l’ineluttabilità del tempo. Ho sempre provato un po’ di pena nei confronti di chi si trasforma in una ridicola caricatura cercando di perpetuare in eterno un’immagine adolescenziale di sé: la classe di una persona consiste nella capacità di adattarsi con stile alle trasformazioni del proprio corpo e soprattutto della propria mente. Certo non posso negare una specializzazione in creme antirughe da dispensare consigli anche a Gloria Vanderbilt! Ma non sarò certo quella che va in giro con la zainetto di Hello Kitty, la minigonna inguinale o le mutande che anticipano l’inizio della cintola, tanto per adattarmi a un cliché che per altro mi fa inorridire. Il canto del cigno lo lascio alle soubrettes della domenica pomeriggio.
La tendenza all’autodistruzione facendo l’alba ad oltranza ha ceduto il passo a una fatica ben più salutare, costruttiva ed economica, considerato che per praticarla è sufficiente un paio di scarpe da ginnastica. D’altronde anche le quattro di notte adesso sono diventate le quattro del mattino, esattamente come intendevano i nostri genitori. E quando declini un loro invito a cena perché sei stanco, non sono stimolati da quel sadismo vendicativo che la domenica mattina li induceva a tormentarti, ma sono loro stessi a consigliarti di riposare.
Un po’, a dire la verità, ci pensi.
Ma chi se ne frega, poi. E’ finita l’età in cui devi dimostrare sempre qualcosa agli altri e fare cose di cui spesso non t’importa un accidenti, solo per non essere da meno. Quella in cui pensi che è meglio provare tutto, per non aver rimpianti. Forse perché da adolescente fai del carpe diem il tuo grido di battaglia, pensando ai trent’anni come un momento in cui dovresti essere già “arrivato” e la maturità non permette più le follie giovanili. Poi arrivi all’orizzonte e vedi che non c’è nessuna linea di confine. Per un po’ ti chiedi se mai ci sarà. Alla fine è la tua natura - non già la volontà - a dirti che hai già passato la fase senza nemmeno accorgertene. Non hai più voglia di certe cose: puoi essere pienamente soddisfatto di quello che hai fatto, o forse non sentire nemmeno più l’esigenza di raggiungere certi obiettivi. O magari continuare a perseguirli, ma senza ansia. Mi sono chiesta spesso il perché di tutto questo, giungendo alla conclusione che probabilmente a quest’età ti stai avvicinando alla conoscenza di te stesso, delle tue potenzialità, dei tuoi limiti. E soprattutto impari a piacerti per quello che sei, che non vuol dire “accettarti” ma semplicemente migliorarti nel rispetto della tua persona.
Posso dire di sentirmi molto meglio oggi di quando avevo vent’anni, arricchita delle mie esperienze - positive o negative che siano – e soddisfatta per non aver lasciato nulla di quello che avrei voluto e potuto fare. E’ una serenità interiore che schiarisce un cielo perennemente annebbiato dai miei continui tormenti. Tormenti che continueranno ad esserci, certo, ma non saranno più inquietudini.
Mi chiedo se sia questa la famigerata maturità – parola a cui ho sempre ritenuto stupido dare una definizione. No, non credo. Però potrebbe essere sufficiente per intraprendere nuove e più impegnative esperienze, quelle che non riguardano solo ed esclusivamente me.
Trentasei anni, o giù di li, è quello strabismo di fine giovinezza, con cui puoi guardare a un passato pieno e a un futuro che lascia molti spazi da riempire...



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