Je ne l'apprezz pas
Ricorderò i cavalli selvaggi della Camargue, le case bianche e le strade polverose, l’atmosfera zingara e le cicale. Ricorderò le distese di lavanda ormai secca, le case in pietra, le verdi colline della Provenza e l’ocra di Roussillon.Ma vorrei cercare di dimenticare quelle cose repellenti che per quattro giorni hanno sbattuto nei nostri piatti. E il prossimo che mi verrà a parlare di “rinomata” cousine française, avrà quel che si merita e non si lamenti se la risposta è indelicata.
Ho ancora davanti agli occhi la faccia di mio fratello mentre guarda quell’insaccato di cacca servito su un letto di pommes frites. La cameriera che lo guarda stupita mentre riporta in cucina il piatto nemmeno sfiorato, e lui desolato che accenna un timido “Je ne l’APPREZZ pas”. Ma come, “je ne l’apprezz”?! Ma sii violento, dille che fa schifo, che è un invito al vomito, che quella merda puzzolente noi italiani non la diamo nemmeno al cane randagio!
Dicesi “andouille” una salsiccia di frattaglie e quant’altro. Un insaccato di tutti i resti del maiale, perché, a buon ragione, del maiale non si butta via niente. I francesi l’anno presa alla lettera e non buttano nemmeno le unghie, gli occhi e, a quanto pare, l’intestino retto. Tutto serve per la deliziosa andouille, specialità sopraffina di cui les enfants de la patrie vanno orgogliosi.
Vada per la baguette ficcata sotto l’ascella. Vada per il prosciutto venduto a fette da un etto. Ma quando è troppo è troppo. Ora mi chiedo: ma li trattiamo così, noi, i nostri turisti? Nossignore. Noi insegniamo loro a mangiare in tre portate separate, l’insalata come contorno e non come antipasto, il riso come primo e non come contorno, la bistecca al sangue, il cappuccino a colazione e non dopo la pizza, l’olio di oliva e il basilico, gli spaghetti al dente e il pomodoro fresco. Poi, se vogliono condire la pasta con il ketchup, quelli sono fatti loro.
Conclusione: se Le Cordon Bleu forgia fior fiore di cuochi provenienti da tutto il mondo per la modica cifra di diciottomila euro a corso, quanto potrebbe costare un semplice stage in un qualsiasi ristorante toscano?



“Mais-nous-en-France” paga il conto e se ne va a testa bassa. Barthéz ci restituisce il sorrisetto idiota di quando prendemmo quella traversa agli Europei, e noi ce lo riprendiamo, anche se non è lo stesso: i nostri azzurri non giocano con la rabbia e la meschinità di molti altri, non ci sono falli cattivi, non c’è altro al di fuori del gioco. E alla fine si ride, di gioia, di complicità, di sollievo. Non per aver battuto gli avversari, che ormai, sembra non esistano più: c’è solo quella bella e ambita coppa che Cannavaro sembra non voler mollare mai. Se la tiene stretta stretta fino a Roma, la solleva come a dire che è per tutti, con l’euforia stampata in volto, negli occhi, nel sorriso smagliante su quella faccia scura da scugnizzo napoletano. E’ stato grande Cannavaro, sono stati grandi tutti. Hanno sfidato le critiche di chi cercava una conferma ai recenti scandali calcistici, di chi tifava Ghana anziché Italia, di chi voleva essere contro a tutti i costi perché sembra non ci sia occasione migliore di queste per sentirsi non comuni. Lasciamo i signori Sofisti alle altre polemiche nazionali, e semmai leggiamo un sempre grande Zucconi che non ha mezzi termini nell’esprimere la propria soddisfazione: "...e ora potete rimettere in frigo quella bottiglia di champagne, con la quale ci avete sfottuto nella Parigi del 1998 e nella Rotterdam del 2000" , mettendo l’accento su una rivincita che tutti aspettavamo, ma che i nostri calciatori non lasciavano trasparire: loro non sarebbero saliti a prendere quelle medaglie di secondo posto con le orecchie basse e la faccia imbronciata, e soprattutto, ci sarebbero andati tutti. Perché all’appello della squadra francese mancava chi si è giocato la consacrazione definitiva all’Olimpo dei campioni. Sarà stato per vergogna? Riserviamoci il beneficio del dubbio.
