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Odio le persone apatiche. Di conseguenza amo quelle passionali

giovedì, marzo 01, 2007

Primavera e poesie

Che dice la pioggerellina
di marzo, che picchia argentina
Sui tegoli vecchi
Del tetto, sui bruscoli secchi
Dell’orto, sul fico e sul moro
Ornati di gemmule d’oro?
Magari per gli scolari di oggi imparare a memoria una poesia sarà come per noi a quei tempi sentir parlare di aste e sillabari. Allora la maestra non perdeva occasione per dettarci una qualche felice produzione di Pascoli, Rodari o Carducci, ci dava il tempo per disegnare vicino qualcosa di attinente (e io ricordo ancora il bambino che afferrava il verde melograno da' bei vermigli in fior), ma il peggio rimaneva poi per il pomeriggio, interi pomeriggi rubati al gioco perché quei versi incomprensibili non ti entravano in testa: Sono venute dai monti oscuri le ciaramelle senza dir niente; hanno destata ne' suoi tuguri tutta la buona povera gente. Per anni mi sono chiesta cosa cavolo fossero queste ciaramelle o, peggio ancora: il prunalbo.
Naturalmente la primavera era il momento in cui la maestra si sentiva più ispirata. Al contrario, per noi era una vera e propria sofferenza non poter approfittare delle giornate che cominciavano ad allungarsi (allora si usava ancora giocare all'aperto), e dover imparare a memoria una poesia era una bella fregatura. La prassi era quella di leggerla più volte e cercare di memorizzarla dopo, mentre si gioca. Ma immancabilmente ti ritrovavi la sera con il naso sul quaderno.
A quei tempi - e parlo degli Anni Settanta non del Risorgimento - la primavera era veramente primavera. In marzo cadeva la classica pioggerellina che picchia argentina, e se magari cominciavi a sentire un raggio di sole un po' più caldo, non avevi ragione di pensare che fosse uno scherzo dell'effetto-serra e che di lì a poco sarebbe ritornato il Generale Inverno. Inverno, per altro, che non si fa vedere da anni. Oggi stiamo aspettando un aprile innevato, ma allora in marzo cominciavi già ad aprire i cassetti per rivedere le maglie con le maniche corte come se la nostalgia dell'estate avesse raggiunto il limite. L'autentica primavera arrivava a Pasqua, ma in marzo c'erano già le premesse. Innanzitutto a scuola si cominciava a preparare il lavoretto da regalare ai genitori, e quasi sempre includeva un pulcino fatto con due pon-pon e un guscio d'uovo, o campanelle di dash, o rami con palline di polistirolo rosa incollate con il vinavil. Col senno di poi posso dire che la massima espressione di falsità dei genitori era l'apertura di questi regalini, e sono più che mai convinta che fossero una vera e propria vendetta da parte della maestra, considerato che poi c'era l'obbligo di esposizione.
Ma la cosa che maggiormente faceva presagire l'arrivo della primavera erano i vestiti: i bambini dovevano mettere i pantaloni fino al ginocchio, ma in compenso, quando faceva caldo, potevano togliersi il grembiule. Noi bambine invece potevamo sostituire le calze di lana con i calzettoni di pizzo alti fino al ginocchio, quelli con i buchetti, che facevano un effetto da urlo sulle scarpe di vernice. Per me era il momento più bello, e non solo perché senza calze di lana si riusciva a giocare meglio all'elastico, ma soprattutto perché i calzetti mi davano l'idea di massima libertà.
Quella volta la primavera si manifestava anche con i primi temporali, temporali che adesso non ci sono ma in compenso abbiamo dei veri e propri uragani. Il temporale era qualcosa di magico, e magico era l'odore dell'aria quando tutto finiva e rimanevano ancora quei pochi raggi di sole al tramonto.
Non so se l'intensità di queste sensazioni sia così forte in me per il fatto che molto di tutto questo è andato perso negli anni, o semplicemente perché la mia natura eliotropica mi renda inesorabilmente depressa durante i mesi invernali. Sarà perché sono nata in primavera o anche perché sento ancora un forte attaccamento a un'infanzia così vicina alla natura e fortemente condizionata da essa, ma i colori e gli odori di una volta rimarranno per me degli indelebili paradigmi per tutta la vita.
Passata è l’uggiosa invernata,
Passata, passata!
Di fuor dalla nuvola nera,
Di fuor dalla nuvola bigia
Che in cielo si pigia,
Domani uscira’ Primavera...

5 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Io invece ricordo un prato di margherite e trifogli, mi amadre che mi chiamava per rientrare a casa, dalla finestra della cucina e le mia scarpe da tennis (le Superga di tela), che indossate già a marzo, segnavano l'inizio, per me, del caldo.

:-)

3:30 PM  
Blogger Erik, il Vikingo said...

La differenza è che adesso la primavera ti porta anche una carica garibaldina di ormoni, o no?

8:44 AM  
Blogger ruben said...

Angie: anche mia madre chiamava, chiamava, chiamava... E poi s'incazzava perché noi non rispondevamo...

Red Chef: sto già combattendo una mia personale battaglia contro altri generi di ormoni... ci mancano solo quelli della primavera e poi sono fritta!!!

12:04 PM  
Blogger Labelladdormentata said...

In aggiunta ai tuoi ricordi di scarpine di vernice e calzettoni di pizzo, io ci aggiungo anche il profumo di primule e violette mischiato a quello dei pastelli colorati che usavamo per dipingerle nei pomeriggi ancora frescolini sulle nostre colline quando la mamma ci portava a fare passeggiatine per prendere un po' di aria buona, e pure il profumo della panna montata del gelataio, che apriva rigorosamente il 19 marzo.

4:18 PM  
Blogger ruben said...

La panna montata!!!! Pensa che qualche volta noi andavamo a prendere il latte in latteria e con la "pelle" facevamo la panna... sapore ormai "estinto", ovviamente!

8:38 AM  

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