patio andaluz

Nome:
Località: Italy

Odio le persone apatiche. Di conseguenza amo quelle passionali

mercoledì, marzo 28, 2007

Propaganda

Mi sono sempre chiesta che cosa spingesse una donna a intraprendere la carriera militare. Anche a me da piccola piaceva andare a pescare, avere i capelli corti e mettermi i pantaloni. Ma alle medie ho cominciato a cambiare idea... Non parlo delle carabiniere o delle poliziotte che riescono, pur nel loro ruolo, a mantenere una certa femminilità. Mi riferisco alle soldatesse, quelle che s'infilano in una mimetica, impugnano il mitra, s'imbrattano il viso come un SEAL (e non certo con cosmetici anallergici Lancome), e passano mesi e mesi nei deserti, con la pelle disidratata dal caldo, i capelli inariditi dalle polveri e appiattiti dal casco, la terra sotto le unghie, i piedi anchilosati in un paio di anfibi e magari senza la possibilità di lavarsi per giorni interi o portarsi nello zaino il beauty-case. Che sia per amor patrio? Per soldi? Per rivendicare la parità di diritti? Il Soldato Jane è sempre stato per me un mistero. E pazienza per le americane che sono sempre state un po' così: ma le italiane, la donna italiana, da sempre emblema della femminilità nel mondo... Cosa può spingerla a tanto?

...che non sia la propaganda mediatica?

martedì, marzo 27, 2007

Egoistopoli

Tangentopoli, Calciopoli, Vallettopoli............................. Ma non dimentichiamoci di

PAPEROPOLI!!!!!

(si stava meglio quando si stava peggio)

Ma poi, chissenefrega delle rogne di vip e veline? L'importante è che si facciano fotografare per Chi entro quest'estate. In spiaggia non dovremo mica leggere The Economist?

lunedì, marzo 26, 2007

Schizzi di anatomia umana

L'Amichevole Spiderman di Quartiere ha una Moleskine. Anche lui come Chatwin ed Hemingway.
Nell'attesa di riempirne le pagine con appunti di viaggio, scrive del quotidiano, ma per questioni di privacy non sono autorizzata a pubblicare senza previa liberatoria da parte dell'Autore.
Cito solo una curiosità di pagina 5: schizzi di anatomia umana. Vi sono disegnati tre teschi: quello di un americano, quello di un italiano e, in parte, MICROSCOPICO, quello di un francese. Certi che nessuno abbia inculcato nell'Amichevole Spiderman di Quartiere pregiudizi sui francesi onde evitare spiacevoli rivelazioni in pubblico del soggetto in questione, come si spiega la spontaneità del gesto? Lui non ne sa niente di nouvelle cousine perché mangia solo cevapcici, non beve ancora vino, non ha visto i film di Louis De Funés, ignora la capocciata di Zidane, e nessuno gli ha mai spiegato della baguette infilata sotto l'ascella. Questa è la prova inconfutabile che alla nascita l'uomo non è affatto una tabula rasa, ma nel patrimonio genetico vi sono delle informazioni
necessarie allo sviluppo cerebrale e utili alle rudimentali notizioni identificative dei vari aspetti sociali.

Da "Dialoghi con l'Amichevole Spiderman di quartiere

L'Amichevole Spiderman di Quartiere è presente anche qui:
Sono qui!!!, Evolution, You are the champion, Editoria, De gustibus, Copyright, Prospettive, Scripta manent, Colte al volo 2, Colte al volo 1, Dal vostro amichevole Spiderman di quartiere

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Lo ammetto

"Il conformismo è il carceriere della libertà e il nemico dello sviluppo".
(John Fitzgerald Kennedy)

Perdonami, John, per quanto sto per rivelare.
C’è un attimo di sgomento quando sabato sera durante una cena fra amici esco dal bagno chiedendo a mio fratello se fosse suo quello shampoo nero dimenticato vicino alla vasca. Chi sapeva delle mie abitudini si è messo a ridere. Chi non sapeva, è rimasto con la salsiccia in bocca. Il problema non era lo shampoo: il problema era che lo shampoo era NERO, e nel bagno non c’è niente che possa stonare con i colori delle piastrelle, per cui tutto deve essere sui toni del verde, bianco o al massimo celeste. Il tutto si è semplicemente risolto in una panoramica scherzosa sulle mie “rifiniture di stile”, che i più razionali chiamano ossessioni. Ma quando il giorno dopo mio padre mi ha chiesto se avessi già convertito il mio guardaroba da nero a bianco visto che era scattata l’ora legale, allora ci ho riflettuto un po’: se si è accorto lui, che non saprebbe ricordarsi il colore dei miei occhi, è preoccupante. E penso anche a quando il direttore della filiale di banca mi ha detto “Non ti avevo riconosciuta, così, vestita di nero. Sei sempre bianca...”, e io, abbagliata dalla tavolozza di colori mal assortiti della sua fantasiosa mise, gli ho risposto con molta nonchalance “Adesso è autunno”, riscontrando nel suo sguardo perplessità e divertimento.
Il problema - che per me non è affatto un problema ma un semplice spunto di riflessione - è che la mia esteriorità è irrimediabilmente prevedibile. Qualcuno direbbe vittima della mediocrità, io preferirei gregaria del monotono, che almeno concede il beneficio di una scelta consapevole. Amo il formale e lo standard, la semplicità, l’equilibrio: quello che ai sedicenti originali piace definire “conformista” e ai più maligni “insulso”.
Nell’arredamento ogni elemento non è mai casuale, e l’accostamento dei colori sempre studiato. Nel vestire c’è solo bianco e nero, bianco d'estate, nero d'inverno, tinte naturali o al massimo qualche colore tenue. Mai gamme di verde chiaro, arancio, azzurri, rossi, fucsia o altri colori intensi che non siano giustificati da una forte presenza di bianco. Mai scritte, pois, quadretti, righe verticali, fantasie folk o floreali, maculati, zebrati, pitonati e tigrati. Concesso l’optical rivisitato da Pollini e Gucci. Banditi gli inserti di ogni genere, ricami, pailettes, lustrini e borchiette, taschine inutili, cerniere e bottoni fuori posto. Mai a una gonna corta che non sia un tubino o un tailleur, mai ai tacchi alti se non d’inverno con i jeans rasoterra e il cappotto nero. Mai a un giacchino che non abbia un collo di pelliccia, o altri simili “must have” che qualcuno definirebbe degni di una mente bacata. Niente scarpe stravaganti. Borse - per le quali per altro ho una vera passione - non ne parliamo: non c’è un modello originale che mi attragga particolarmente, ma ogni futuro acquisto esiste preventivamente nella mia testa e può trovare o meno riscontro nella realtà. Non mi piacciono i gioielli insoliti, odio l’etnico e tutto quello che non è oro, argento, perla o trasparente. Per qualcuno è deprimente sapere che le mie spese esagerate sono giustificate dal fatto che un oggetto mi piaceva dieci anni fa così come potrebbe piacermi per altri vent’anni e che una volta consunto, sarei capace di ricomprarne un modello esattamente identico.
E tutto questo è quanto più comunemente viene definito “la fiera del banale”.
Fare shopping insieme alle mie amiche (tranne quelle più perspicaci) è diventato per loro noioso e per me frustrante nel dover rispondere ad ogni “Ohh, guarda questo...” un “Sì che bello” per non stroncarle continuamente con un laconico “Che schifo non lo metterei mai”. E se anche mia madre evita di farmi regali perché sostiene che i suoi gusti sono più moderni dei miei, qualcuno al mio posto potrebbe anche spaventarsi.
Ma non tento nemmeno di perorare la mia causa: sono io la convenzionale, l’abitudinaria, la bacchettona, la “normale”. Il peggio è che non me ne vergogno affatto. Anzi, mi diverto nel dare soddisfazione a chi si fregia di essere originale o addirittura avanguardista e sorride compassionevole se gli rivelo che la mia icona di stile è Jackie Kennedy, non Paris Hilton, che è meglio un Givenchy ieri che due Dolce&Gabbana oggi.
Aspetterò il mio momento di gloria, quando la fantasia sarà passata di moda e gli alternativi saranno in troppi per sentirsi unici...

mercoledì, marzo 21, 2007

Happy Parto House


Prendo spunto da una segnalazione inviatami con orrore da Sabrina, una sorta di consigli provenienti da oltremanica. Annachiara e Silvia, è anche per voi...

Il metodo messo a punto da un gruppo di ostetriche inglesi
Dieci passi per un parto orgasmico
(Corriere della Sera, 10 marzo 2007)

1) Organizzare il parto in casa, dove l’ambiente famigliare mette a proprio agio la futura mamma
(Così se c’è bisogno di un cesareo d’urgenza, l’anestesia te la fa il GATTO)
2) La donna deve sentirsi sicura e protetta e deve avere fiducia nel parto gioioso.
(Già mi è difficile sentir parlare di “dolce attesa”. La formula “parto gioioso” sa proprio di bestemmia)
3) La donna deve avere voglia di sentirsi sexy, bella, spregiudicata.
(E’ il momento giusto: con una forma trapezoidale, le gambe gonfie e anche qualche emorroide è pronta per la copertina di Playboy)
4) Il rapporto tra la futura mamma e l’ostetrica deve essere stretto e confidenziale.
(E magari tra una contrazione e l’altra ci si fa il french manicure a vicenda...)
5) Durante la gravidanza bisogna amare il proprio corpo e apprezzarlo.
(Quale dei due? La parte originale o l’alter ego di grasso?)
6) La stanza in cui nascerà il pupo deve essere riempita di candele profumate e oli essenziali per renderla “speciale”.
(Peccato che dopo il primo mese di gravidanza ti dia la nausea anche solo camminare a dieci metri da erboristerie e baracche di incensi indiani. A meno che le candele non siano all’essenza di salame...)
7) Pensare positivo – visualizzare un parto sexy e MAI pensare al dolore.
(Riesce difficile associare l’immagine di te che ti esibisci in uno streap-tease e quella di un qualcosa di almeno tre chili che prima o poi deve passare di “lì”... )
8) Heavy petting con il partner, molto consigliato.
(Sempre che il partner non sia già svenuto. In caso è disponibile il dottor Derek Shepherd?)
9) Dare libero sfogo alle proprie fantasie erotiche.
(Anche sì. Nel giardino dell'Happy Parto House c’è sicuramente l’erba di Grace)
10) Culminare l’esperienza con un “orgasmo cosmico” e vedere il bambino nascere già “gioioso”.
(Una specie di Woodstock, insomma. Peace and love, fumo libero e free joint, medici e infermiere, ostetrica e anestesista, che poi è il gatto. E il bambino nasce con la camicia. A margheritone...)

Che dire? Ho sempre pensato che gli Inglesi fossero dotati di un' intelligenza non comune nel genere umano (ma molto diffusa in quello animale).

venerdì, marzo 16, 2007

La Divisa

E’ successo di nuovo. L’ennesimo tête-a-tête con la Divisa. Mi chiedo se questi signori (o peggio, le signore) quando sono in borghese cambino atteggiamento, e se sia l’uniforme ad autorizzarli a qualificarsi come le persone più cafone della terra. E’ vero che non ho mai preso una multa, o per lo meno non l’ho mai presa quando sono arrivata un attimo prima che la Divisa di turno cominciasse a fare il verbale. Ed è vero che non vado molto d’accordo con i divieti di parcheggio. Ma io dico: cosa ti costa essere un po’ più gentile? Mi concedi la grazia di una contravvenzione condonata, mica mi risparmi dalla pena capitale. Infatti ho sbagliato, ma non ho commesso un delitto. E lui, zoticone, con quel tono da La-Legge-sono-Io, raccoglie tutta l’insolenza che gli è possibile e mi ordina di togliere subito la macchina da lì, visto che per questa volta “mi è andata bene”. E questo succede con le Divise uomini, perché le Divise donna, nella fattispecie le vigilesse, sono quanto di più arrogante esista al mondo.
Ma a proposito di potere della divisa, c'è un aneddoto che non posso risparmiare. Diversi anni fa - ma indelebile negli annali dell’ente per cui lavoro - si è verificato un episodio sconcertante quanto inequivocabilmente ridicolo. C’era un concerto molto importante, un solista imperdibile: generalmente a questi concerti si presentano cani e porci, gente mai vista a teatro ma che ritiene indispensabile esserci in determinate occasioni. Ad un tratto, poco prima che si spengano le luci, si alza dall’undicesima fila un essere bizzarro con il monocolo agghindato in stile carnascialesco, con una lunga palandrana nera e un balordo cappello dal pennacchio rosso, tipo un carabiniere stile De Amicis. Sventolando il mantello esce imperterrito dalla sala e lascia il teatro. Io e la mia titolare ci guardiamo sbalordite e poi ci mettiamo a ridere senza farci troppo caso. ERRORE MADORNALE.
L’indomani vedo dalla finestra dell’ufficio due volanti dei carabinieri che parcheggiano davanti a noi, ne esce una squadretta che suona alla porta chiedendo della mia titolare. Senza fiatare, lei è invitata a seguirli alla centrale. “Che cavolo avrà combinato”, penso. Fosse la Finanza, sarebbe più giustificabile...
Dopo un paio d’ore tutta la scorta fa ritorno, e lei rientra in ufficio sconcertata. Ecco cos'era accaduto. Tale Generale Darfiusser si era accreditato personalmente al concerto e, sfoggiando l’alta uniforme, pretendeva un posto in decima fila che nel nostro teatro è quella delle cosiddette autorità, cioé sindaco e assessore (che però vengono invitati, non si auto-invitano). Ma siccome il ridicolo personaggio era stato collocato in undicesima, ritenutosi offeso se n’è andato. Avevamo OLTRAGGIATO l’Arma.
In centrale la mia titolare subisce un lavaggio del cervello, e dopo aver porto le dovute scuse, viene PERDONATA ricevendo in dono una serie di gagliardetti, il calendario dell’Arma e un vademecum per il cerimoniale di base (sia mai che si ripeta un simile errore). Ecco.
A distanza di anni, ogni volta che in ufficio c’è bisogno di ridere, ci si ricorda del Generale, che poi abbiamo sempre chiamato Ammiraglio Darfiusser e di quanta idiozia ci sia al mondo.


martedì, marzo 13, 2007

L'ozio è il padre dei vizi (non rendiamoli orfani)

Cosa vuol dire dover rimanere agli arresti domiciliari per tre giorni e mezzo. Vuol dire che la prima mezza giornata passa subito, perché fuori piove e la pioggia concilia il sonno prima che tu riesca a prendere in mano un libro. Il secondo comincia all'alba perché non avevi mai dormito tanto in vita tua, ma fuori c'è il sole e le ventiquattr'ore si prospettano già un'eternità. Leggi la mattina, leggi il pomeriggio. Ma anche leggere stanca, e Barry Lindon attira come La Corazzata Potemkin. Quindi rimane la tivù libera, quella di Cucuzza. Evitando i canali in cui ci sono i cartoni, le televendite e le stronzate della De Filippi, purtroppo resta solo Cucuzza. Almeno capisci perché negli ultimi tempi i casi di Alzheimer sono in aumento. Poi ci sono i telegiornali, perché non hai alternativa: devi beccarteli tutti per sfuggire a varie trasmissioni di quiz, una più noiosa dell'altra ma in testa a tutte quella in cui il concorrente ci impiega quaranta minuti e due spazi pubblicitari per fornire la risposta. Infine c'è il film in prima serata e fortunatamente una prima visione che non hai ancora visto. Peccato che venga interrotto a metà da Vespa il quale decide deliberatamente di svelarne il finale. Pensavo di aver capito male: dopo vent'anni di televisione non puoi fare una cosa così idiota. Ma il giorno successivo un articolo su Repubblica mi conferma che la RAI ha ricevuto un tot di telefonate da parte di un pubblico più che incazzato. Il terzo giorno non ne puoi più e, visto che fuori c'è il sole, telefoni in ospedale per chiedere se è proprio vero che devi rimanere in casa, o se per caso puoi anche metterti fuori all'aria aperta senza far capire che in tal caso staresti sdraiata sotto il sole. Quindi il terzo e il quarto giorno, tutto sommato non va neanche male, perché se fossi stata in ufficio, avresti visto il sole a strisce e saresti morta di rabbia. Ma sabato pomeriggio cominci già a guardare impazientemente il cellulare che non suona, mentre avresti proprio voglia di una bella griglia, e che cavolo, non penseranno mica tutti che sei malata? E in virtù di flussi telepatici, la sera ti ritrovi ad anticipare l'ora "x" dell'evasione grazie proprio a un invito. E sai che puoi anche far tardi, tanto il giorno successivo non sarà la solita domenica con l'angoscia del lunedì, perché di certo non vedi l'ora che arrivi lunedì!
E invece la domenica è sempre domenica, perché il lunedì è inevitabilmente il lunedì, con la sveglia che suona fastidiosa e non ti ricorda mai che hai avuto due giorni per risposare, ma soprattutto che davanti ne hai altri cinque per stancarti. Così, dopo quattro giorni di arresti domiciliari, rientrata in ufficio e sbrigato la parte più divertente della giornata, cioè leggere la posta, e osservando che le previsioni meteorologiche segnalano altri giorni di sole, cosa fai? Chiami il meccanico per vedere se per puro caso martedì mattina potrebbe trattenerti la macchina per sostituire quel famoso pezzo che aspetta da un mese, e magari impedirti di andare in ufficio per almeno un'altra mezza giornata di sano e rispettabile ozio...

martedì, marzo 06, 2007

Saluti


Me ne vado! Tre giorni di vacanze, che non sarebbero propriamente vacanze, ma una specie di "riposo forzato", se così lo vogliamo definire. Se lo decido io, non scelgo certo i tre giorni più piovosi dell’inverno, ma se te lo dicono i medici, con quelli non si discute. Quindi starò a letto. Ma anche sul divano, direi. Non è la stessa cosa? La situazione mi fa un po’ senso... saranno almeno diciotto anni che non mi becco nemmeno un’influenza. In pratica da quando stare tre giorni a letto significava ritrovarsi con una montagna di compiti da recuperare, per cui non ne valeva neanche la pena. Adesso non devo studiare, e fatalità non sono nemmeno indietro con il lavoro. Posso serenamente OZIARE. Il che è una condizione inedita per quelli che come me prendono giornate di ferie solo se hanno un programma preciso. E la cosa quasi mi angoscia. Con un portatile inutile, visto che a Rio Bo l’adsl non è ancora arrivata. E passando davanti alle scarpe da corsa e alla borsa della piscina senza nemmeno sfiorarle. Dovrò duellare con mia madre perché non venga a portarmi la minestra da infermo senza che io possa dare la classica rapida pulita alla casa prima dell’ispezione, e soprattutto evitare che stia a guardarmi senza dire niente come fossi in fase terminale mentre si esercita nell’aguzzare la vista con la polvere da intercettare, le piante senza acqua, i vetri non proprio brillanti e il Museo di Cibi Insani ospitato in un frigo che cercherà di aprire furtivamente e con abile mossa. Tutto ciò mi desta inquietudine.
Saranno giorni interminabili, ore interminabili. Finirò di leggere dell’esaurimento del dottor Dick Diver, e magari, per la gioia del mio teacher, riuscirò anche a vedere quel superlativo saggio di lingua inglese che sarebbe Barry Lindon, la mia spada di Damocle.
In ogni caso, non sarò qua a scrivere. O magari scriverò da là, rimandando a una pubblicazione postuma. Se l’Amichevole Spiderman di Quartiere verrà a trovarmi per portarmi uno dei suoi favolosi regali che compra gratis - tipo un buono per il polletto o un Topolino preso al Banco del Libro - magari elaborerò una delle sue discussioni filosofiche sopra i due massimi sistemi, L'Uomo Ragno e Il Signore degli Anelli, o per mal che vada dovrò vedermi con lui un James Bond d'annata.
In poche parole, il blog è chiuso per qualche giorno!


giovedì, marzo 01, 2007

Primavera e poesie

Che dice la pioggerellina
di marzo, che picchia argentina
Sui tegoli vecchi
Del tetto, sui bruscoli secchi
Dell’orto, sul fico e sul moro
Ornati di gemmule d’oro?
Magari per gli scolari di oggi imparare a memoria una poesia sarà come per noi a quei tempi sentir parlare di aste e sillabari. Allora la maestra non perdeva occasione per dettarci una qualche felice produzione di Pascoli, Rodari o Carducci, ci dava il tempo per disegnare vicino qualcosa di attinente (e io ricordo ancora il bambino che afferrava il verde melograno da' bei vermigli in fior), ma il peggio rimaneva poi per il pomeriggio, interi pomeriggi rubati al gioco perché quei versi incomprensibili non ti entravano in testa: Sono venute dai monti oscuri le ciaramelle senza dir niente; hanno destata ne' suoi tuguri tutta la buona povera gente. Per anni mi sono chiesta cosa cavolo fossero queste ciaramelle o, peggio ancora: il prunalbo.
Naturalmente la primavera era il momento in cui la maestra si sentiva più ispirata. Al contrario, per noi era una vera e propria sofferenza non poter approfittare delle giornate che cominciavano ad allungarsi (allora si usava ancora giocare all'aperto), e dover imparare a memoria una poesia era una bella fregatura. La prassi era quella di leggerla più volte e cercare di memorizzarla dopo, mentre si gioca. Ma immancabilmente ti ritrovavi la sera con il naso sul quaderno.
A quei tempi - e parlo degli Anni Settanta non del Risorgimento - la primavera era veramente primavera. In marzo cadeva la classica pioggerellina che picchia argentina, e se magari cominciavi a sentire un raggio di sole un po' più caldo, non avevi ragione di pensare che fosse uno scherzo dell'effetto-serra e che di lì a poco sarebbe ritornato il Generale Inverno. Inverno, per altro, che non si fa vedere da anni. Oggi stiamo aspettando un aprile innevato, ma allora in marzo cominciavi già ad aprire i cassetti per rivedere le maglie con le maniche corte come se la nostalgia dell'estate avesse raggiunto il limite. L'autentica primavera arrivava a Pasqua, ma in marzo c'erano già le premesse. Innanzitutto a scuola si cominciava a preparare il lavoretto da regalare ai genitori, e quasi sempre includeva un pulcino fatto con due pon-pon e un guscio d'uovo, o campanelle di dash, o rami con palline di polistirolo rosa incollate con il vinavil. Col senno di poi posso dire che la massima espressione di falsità dei genitori era l'apertura di questi regalini, e sono più che mai convinta che fossero una vera e propria vendetta da parte della maestra, considerato che poi c'era l'obbligo di esposizione.
Ma la cosa che maggiormente faceva presagire l'arrivo della primavera erano i vestiti: i bambini dovevano mettere i pantaloni fino al ginocchio, ma in compenso, quando faceva caldo, potevano togliersi il grembiule. Noi bambine invece potevamo sostituire le calze di lana con i calzettoni di pizzo alti fino al ginocchio, quelli con i buchetti, che facevano un effetto da urlo sulle scarpe di vernice. Per me era il momento più bello, e non solo perché senza calze di lana si riusciva a giocare meglio all'elastico, ma soprattutto perché i calzetti mi davano l'idea di massima libertà.
Quella volta la primavera si manifestava anche con i primi temporali, temporali che adesso non ci sono ma in compenso abbiamo dei veri e propri uragani. Il temporale era qualcosa di magico, e magico era l'odore dell'aria quando tutto finiva e rimanevano ancora quei pochi raggi di sole al tramonto.
Non so se l'intensità di queste sensazioni sia così forte in me per il fatto che molto di tutto questo è andato perso negli anni, o semplicemente perché la mia natura eliotropica mi renda inesorabilmente depressa durante i mesi invernali. Sarà perché sono nata in primavera o anche perché sento ancora un forte attaccamento a un'infanzia così vicina alla natura e fortemente condizionata da essa, ma i colori e gli odori di una volta rimarranno per me degli indelebili paradigmi per tutta la vita.
Passata è l’uggiosa invernata,
Passata, passata!
Di fuor dalla nuvola nera,
Di fuor dalla nuvola bigia
Che in cielo si pigia,
Domani uscira’ Primavera...


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