patio andaluz

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Località: Italy

Odio le persone apatiche. Di conseguenza amo quelle passionali

mercoledì, maggio 31, 2006

Perchè essere antipatici se si può evitare?

Le risposte e le affermazioni più antipatiche del ventunesimo secolo:

1- Non riusciamo mai a fare niente. Cosa vuoi, con il bambino…
2- Non ti ho chiamata perché sono stata incasinata con il lavoro.
3- Possiamo vederci venerdì, lui ha una cena per cui sono libera.
4- Con tutto quello che ho da fare, tempo per leggere io non ce l’ho.
5- Sono talmente stressata, che se vado in vacanze voglio rilassarmi in spiaggia.
6- Beata te che puoi gestirti l’orario di lavoro!
7- Proverai quando hai un figlio...
8- C’è poco da star tranquilli, adesso, per noi imprenditori.

Ed ecco quali erano i “precedenti”, cioè le rispettive domande o affermazioni (che si pensano così, ma in genere vengono rivolte in un modo politically correct):

1- Com’è che siete spariti dalla circolazione finché il bambino era piccolo e vi faceva comodo non uscire, e adesso che vi scassa i maroni tornate all’attacco per recuperare le vecchie compagnie?
2- Ti fai sempre viva solo dopo che hai fatto i cavoli tuoi e quando fa comodo a te.
3- Dopo che hai trovato un uomo, sei come una zecca e non ti schiodi se non quando lui non vede l'ora di mollarti una sera per uscire con gli amici.
4- Hai letto quel libro? - ( Segue risposta 4 )- Già, perché io invece che leggo, non ho una fava da fare in tutto il giorno.
5- Andrai in un villaggio turistico? - (Segue risposta 5) - . E io che preferisco un viaggio, vuol dire che passo tutto l’anno nel relax hawaiiano?
6- Ho un orario flessibile. - (Segue risposta 6) - Tuttavia finisce sempre che lavoro anche più ore di te e non ho gli straordinari.
7- Infatti è noto che quelli che hanno avuto un figlio sono tutti appesi all’albero degli impiccati...
8- Berlusconi ha avuto la straordinaria capacità di forgiare un esercito di imprenditori, che al momento opportuno si sono sentiti parte del motore economico. Anche il vicino di casa che ha quattro galline e ti vende le uova, è diventato un imprenditore e dunque vota Forza Italia.

Conclusione: per fortuna che esistono anche persone sincere, che non si vergognano a dire:

1- Dopo che è nato il bambino, ci piaceva più stare a casa che uscire con gli amici, ma adesso ci sentiamo tagliati fuori.
2- Non ti ho chiamata perché aspettavo che chiamassi tu.
3- Visto che adesso ho trovato un uomo, mi scoccia uscire con le amiche quando potrei stare con lui. Ma appena le cose cominceranno a prendere una brutta piega, vedrai che non ti darò tregua con i miei sms e le noiose serate a parlare di lui.
4- Non leggo un libro da una vita e la sera preferisco spaparanzarmi sul divano e vedere il Grande Fratello.
5- Non mi è mai fregato un tubo di andare in giro per musei, figuriamoci se lo faccio in vacanze!
6- Ho tanti momenti morti sul lavoro da girarmi i pollici, e preferirei poter concentrare le ore per poter finire prima.
7- Non ho niente da dire che mi renda particolarmente misteriosa e interessante, quindi sparo la classica formula che non dice comunque niente, ma ti mette nelle condizioni da non poter ribattere.
8- Anche se non leggo mai i giornali e non so un piffero di politica, ti butto lì una frase che potrebbe anche chiarire la mia posizione.

martedì, maggio 30, 2006

L'oroscopo di linda Wolf

Gemelli: una proposta che non potrete rifiutare”. Si sa che Linda Wolf è di poche parole. Rispetto al solito “bene” o all’inquietante “fate attenzione”, è già qualcosa. Ma che mai vorrà dire? Dico sempre che non devo farci caso e cambiare stazione radio, ma è più forte di me.
Così penso a quale potrebbe essere per me una proposta. E interessante per di più.
Escludo il lavoro, visto che quest’anno vorrei farmi un’estate tranquilla e quindi ogni invito a fare più di quello che sto facendo sarebbe tutt’altro che allettante. Un viaggio? Sicuro, quella potrebbe essere una bella proposta! Ma chi potrebbe offrirmi un viaggio gratis? No, impossibile. E allora cosa? La mia fantasia non ha molte risorse, ma la mente è avida di novità e ad ogni squillo del telefono la speranza si riaccende non so neanche io per cosa. Maledetta Linda Wolf, non potevi essere un po’ più esplicita?
Passa la giornata e l’unico invito è quello di sabato al mare. Per altro inevitabilmente rifiutabile, considerato che nei fine settimana piove sempre. Mi rassegno e penso che un sibillino “Gemelli: bene” sarebbe stato più che sufficiente.
Apro la porta di casa e la busta sulla tavola mi dice che non tutto è perduto.
E’ la SAI Assicurazioni che mi scrive. Mi propone di pagare la polizza della macchina. Qualcuno sa se ci si può rifiutare?!
Domani passo direttamente al Ruggito del Coniglio.

lunedì, maggio 29, 2006

Tributo all'ipocrisia

Uma Thurman: «Detesto il mio corpo». Il lato segreto di una delle donne più sexy e ammirate di Hollywood

Chissà se l’ha detto per un afflato di filantropia - una sorta di compartecipazione con l’esercito degli obesi – o per assicurarsi un seggio nel parlamento dell’ipocrisia hollywoodiana... Certo è che la Thurman questo commento poteva anche risparmiarselo. Se proprio avesse voluto avvicinarsi ai poveri mortali, avrebbe potuto dire qualcosa di più credibile, tipo “per fortuna ho un bel corpo, perché la faccia da pesce lesso non me la toglie nessuno”. Sexy esclusivamente nei panni di Mia Wallace mentre balla “You never can tell”, la Thurman non è quella che si definirebbe propriamente una bella donna: simil-abbronzatura in tinta aragosta voglio ma non posso, banalissimi occhi celesti e pure strabici, capelli insignificanti, naso non proprio alla francese e bocca che le conferisce quella nota aria da ebete. Di lei si potrebbe dire, in realtà, che l’unica cosa salvabile - anzi decisamente invidiabile - è proprio il corpo. Che, appunto, detesta. Come dire che tutto il resto è indiscutibile. Pare comunque che alla sagra della falsità sia in buona compagnia: alla tipica domanda “cosa non ti piace di te”, difficilmente una diva (sempre che ne esistano ancora) dichiara cellulite, gluteo flaccido, pelle acneica, capelli radi, seno cadente, sedere basso, denti rifatti, occhi piccoli, labbra sottili... insomma tutti quei difettucci che trucco, parrucco e un qualsiasi fotografo dilettante potrebbero mascherare. Risulta infatti che questi problemi angosciano solo le donne comuni, mentre i complessi dei vip sono ben altri: i piedi brutti, la pelle secca, il polpaccio muscoloso, la caviglia troppo sottile, l’unghia incarnita e perfino la tendenza a perdere peso. Per fortuna la maggior parte di loro sono favorevoli alla chirurgia estetica e ammettono che “vi ricorreranno, quando sarà il momento”. Peccato che certe affermazioni suonino più da barzelletta, quando escono dalla bocca di Sharon Stone, Kim Basinger, Meg Ryan e altre coetanee già da tempo abbonate al servizio plastico. Questo comunque non fa tanto notizia quando rimane esclusiva di chi con la propria immagine si deve guadagnare la pagnotta. Il fatto è che la moda sta dilagando anche fra quelli che il problema dei flash proprio non ce l’hanno. Non so se sia un banale quanto umano fishing for compliments o se la gente ami farsi ammirare, ma certi divismi sono sempre più frequenti. Io mi faccio un’ora di corsa al giorno per poter salvaguardare la taglia e non ho nessuna vergogna ad ammetterlo. Con la stessa sincerità dichiaro capitali sperperati in creme per sopperire non solo all’abuso di sole ma anche e soprattutto ai miei 36 anni. E perché allora certa gente prova compiacimento nell’autocommiserarsi dichiarando complessi che non ha, quando in realtà ne avrebbe altri ben poco trascurabili? A volte penso che dovrei essere un filino più cattiva e rispondere a tono, tipo “No, non sei troppo magra, ma se per te è un problema, evita di stare sempre a dieta”, oppure “I tuoi piedi non sono brutti. O almeno non quanto quel naso a patata che ti ritrovi e a cui sembri non fare caso”. Certo, ammetto che a volte mi sono tolta lo sfizio e qualcuno ha anche imparato ad astenersi. Ma avrò sempre una simpatia speciale per chi ha l’umiltà di ammettere le proprie debolezze.

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venerdì, maggio 26, 2006

Sono un eliotropio

Sono un eliotropio. Adesso lo so, anzi lo ammetto. Una bella sofferenza! Ah, se non è una sofferenza... Chi non sa, non può capire. Ma mi farebbe un gran piacere se si astenesse da ogni giudizio.

Masai Mara

Il giorno in cui potrò guardare questo tramonto, sarò contenta.
Ammettere di essere contenti non è sempre positivo, se significa accontentarsi. Accontentarsi di viaggiare è come dire di conoscere abbastanza, e non si conosce mai abbastanza. Chi riconosce nell’esperienza del viaggio la forma più alta di cultura, sa che ogni viaggio è come un libro: mai fine a sé stesso, ma sempre un punto di partenza, uno stimolo a cercare oltre. Ogni volta che ritorni, sai già dove vorresti ripartire.

Ci dovrebbe essere un tempo nella vita in cui ti guardi intorno, pensi a quello che hai fatto e a quello che hai, e non ti senti più quel senso di irrequietezza come se ti mancasse qualcosa, ma ti compiaci per essere quello che sei e per quanto hai costruito. Qualcuno la chiama serenità.

L’Africa è qualcosa di speciale, almeno per me. Non ho mai sognato di andare in Africa, perché ho sempre pensato che sarebbe stato un viaggio da lasciare per il momento in cui sarei stata pronta, e che non andava svenduto a un’occasione. Non sapevo se a trenta, a quaranta o cinquant’anni: l’importante era avere lo stato d’animo per poterlo vivere come andava vissuto.
Ancora adesso non so se sia il momento giusto, ma sento che è vicino. E quando potrò sedermi davanti a questo tramonto e a questo albero senza desiderare di andare a cercare qualcosa altrove, allora sarò contenta nella misura in cui questo significa sentirsi appagati.

Ci saranno altri luoghi da scoprire, ma non necessariamente. L’Africa, invece, è un punto di arrivo, un desiderio interiore di sentirsi una parte infinitesimale in quell’immensa distesa di silenzio, respirare aria selvaggia in cui si fondono afrore e purezza incontaminata. Stare davanti a un tramonto e non avere nient’altro a cui dover pensare...

Io e il calcio

Tutti sanno che non amo il calcio. Anzi, di più: lo odio.
La sigla di “Novantesimo minuto”, accompagnata dal fischio della pentola a pressione e l’odore del brodo, conferiva alle mie domeniche un nonsoché di uggioso, quell’insostenibile e deprimente tedio che ti può far venir voglia perfino del lunedì. E’ da quelle odiose sere che ho cominciato a sviluppare l’avversione per il mondo calcistico. Una volta ho pensato anche di essere stata punita. Avevo otto anni quando mio nonno mi lasciò in macchina per un lasso di tempo troppo breve per chiamare telefono azzurro e troppo lungo per non imparare a memoria tutta la nazionale del ’78, visto che c’era da leggere solo il prezioso vademecum per i mondiali. Lo shock è stato talmente forte, che ancora oggi mi ricordo la formazione: Zoff, Cabrini, Boninsegna, Tardelli, Rossi, Conti, Sala, Gentile, Bettega, Scirea, Benetti, Causio... il che per me è un record.
Con un padre che si è sempre fregiato di una dote calcistica non sottovalutabile (che però nessun cronista dell’epoca ha mai avallato), e un fratello la cui altezza faceva quella di due calciatori medi e che probabilmente avrebbe avuto molte più chances nella pallacanestro, ero ormai rassegnata a respirare quell’aria funesta che si effondeva in casa dopo ogni partita del povero tapino, soffrendo per solidarietà fraterna.
La persecuzione si è perpetrata negli anni, quando mi sono fidanzata con un fedelissimo del pallone, e fin dall’inizio ho atteso per ore agli appuntamenti, inconsapevole del fatto che mentre io aspettavo, lui stava correndo dietro a una stupida palla. Negli episodi più critici, si è presentato con una ridicola rosa che gli avrei fatto ingoiare. Da allora ho dichiarato definitivamente guerra spietata al calcio, e senza riserva di armi: all’occorrenza mi sarei giocata anche il nucleare, che tradotto significa ricatto.
Penso di essere una delle poche persone ad arrivare a trentacinque anni senza aver mai visto una partita allo stadio: d’altra parte che senso avrebbe, quando non so nemmeno cosa sia un rigore o un fuorigioco?
Fatto sta che qualcuno ha pensato fosse un tassello mancante della mia formazione culturale, e così il giorno 19 marzo 2006, invitata da alcuni addetti ai lavori, mi ritrovo davanti all’immenso stadio Friuli, alla disperata ricerca della porta numero 29, e già mi metteva in crisi il fatto che ci fossero ben ventinove porte.
L’angoscia di ritrovarmi prigioniera della mia piccola macchina sollevata da quattro erculei ultrà borchiati, lerci e puzzoni, mi induce a farmi largo esibendo la tessera dell’ODG per trovare almeno un parcheggio sorvegliato. Ma l’incubo della folla animale lascia il posto a una visione ben più rassicurante di uno stadio semivuoto e tranquille famigliole che si avvicinano a piedi.
Sbrigate le formalità d’imbarco, raggiungo i responsabili di tutto ciò in tribuna stampa, dove già mi sento un pesce fuor d’acqua: l’unica senza un portatile, l’unica che non dà nemmeno uno sguardo al foglietto con la formazione. E abbiate pazienza, insomma: è già un problema ricordarmi quale delle porte corrisponda alla squadra, come potete pretendere che ad ogni azione significativa riesca contemporaneamente a collegare il numero della maglia al nome del calciatore? Ovviamente sempre che mi renda conto di quando un’azione è significativa.
Già dai primi calci la noia prende il sopravvento, e pondero che se almeno fossi stata dall’altra parte dello stadio, avrei potuto prendere il sole. Ma per fortuna non tutti sono insensibili alla mia ignoranza, e Rita (che in realtà dovrebbe scrivere) si fa carico della mia situazione e rimedia come solo lei sa fare. Si parla a ruota libera, incuranti di quello che succede sotto. C’è chi si chiede indispettito se per caso pensiamo di essere dalla parrucchiera, e chi si premura di avvertirci che la palla è entrata in rete. Quattro volte, per la precisione, e non ne becco neanche una. Poco importa: non saprò mai chi ha fatto goal, ma sono informata di tutti i pettegolezzi della squadra e non solo, perché adesso conosco anche qualche calciatore, mi sono informata preventivamente. Mi avevano detto "visto che non capisci una fava di calcio, almeno scegliti una squadra esteticamente interessante". E avevo scelto la Fiorentina, per via di quel Luca Toni, veramente molto interessante. Ma perdo il turno e mi becco il Milan, squadra già antipatica di per sé, senza per altro conoscere nemmeno un componente della formazione. Poco importa, da lassù non si vede proprio niente, e anche se si vedesse, sarebbe uguale: il calcio non fa per me, proprio no.
Mi accontento del lato folcloristico, i mondiali da guardare tutti insieme in terrazza con le salsicce sulla griglia, temutissimo da fidanzati e mariti che già stanno divulgando il noto decalogo in circolazione, quello che mia cognata ha ben presente perché le è stato affisso in cucina.
A differenza delle olimpiadi dove c’è par condicio, durante i mondiali la donna rischia di passare per una mentecatta. Io mi sono guadagnata il mio bel gagliardetto alla stupidità già da qualche mondiale, dichiarando apertamente di tifare per il Brasile. "I Brasiliani avevano solo Senna e il calcio. Senna è morto, ed ora è giusto che nel calcio trovino la loro soddisfazione". Spiacente, cartellino rosso.

giovedì, maggio 25, 2006

Mi dicono di diffondere...

...e io diffondo. Se si può dare una mano, perché no? In fondo tutti noi coltiviamo il desiderio di farci una vacanza in Sicilia senza l'incubo di una lupara puntata alla nuca se non paghi il parcheggiatore.
Ma ho un sospetto: non è che se la lista vince, ci ritroveremo fra le palle tutti questi firmatari senza più riuscire a scrollarceli di dosso? A cominciare da Pippo Baudo che ha monopolizzato la televisione per mezzo secolo e sarebbe ora facesse i bagagli (ma d'altra parte, se è stato riesumato Enzo Biagi...). Franca Rame e Dario Fo, i falsi sinistroidi modello, che non sanno più cosa inventarsi per continuare a far soldi (ma non stavano a Milano?). Luigi Lo Cascio che quando ho conosciuto io, si chiamava ancora Gigi ma se la tirava come adesso anche se faceva l'alternativo. Nino D'Angelo, un infiltrato, il camorrista che lotta contro la mafia. Carmen Consoli, che eravamo quasi riusciti a togliercela dai piedi. Giuseppe Tornatore, che grazie a Dio con i suoi polpettoni ha guadagnato abbastanza da ritirarsi per un po'. Oliviero Toscani, che ormai fa notizia più solo grazie a Fiorello ed è meglio così. Carla Fracci, che potrebbe godersi la pensione invece di quelle racapriccianti esibizioni amarcord. Andrea Camilleri che aveva già assicurato la fine di Montalbano e magari potrebbe continuare a produrre...
Ecco, ma perché le liste dei candidati alle elezioni non si risparmiano questi reclutamenti che sanno un po' di ridicolo?

Da sempre, con me


Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Lentamente muore chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita
di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare.
Muore lentamente chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna
o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che non conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordiamo sempre che essere vivo richiede uno sforzo
di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza
porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

Martha Medeiros

venerdì, maggio 19, 2006

Piove, governo ladro

Se il governo non fosse ladro, avrei i soldi per andarmene da qualche parte a riscaldarmi le ossa ogni volta che qua tira aria umida. O almeno nei periodi peggiori.
Ma siccome il governo é ladro, quando piove ci penso ancor di più. Perchè devo restarmene in questo posto infame a prenderla tutta.

(pensiero triste di un fine settimana che si prospetta piovoso)

Robe da matti

La Franzoni "baby-sitter" del paese.
(e le virgolette del Corriere non sono volute a caso).
Abbiate pazienza. E’ come se Michael Jackson venisse assunto al luna park e Berlusconi all’Intendenza di Finanza. O Hannibal the Cannibal come bagnino in spiaggia, dove per altro troverebbe cibo già grigliato.
Ma dico: siamo matti o cosa?
I casi sono tre:
a. A Cogne si coltivano grandi piantagioni di marjiuana.
b. Le donne di Cogne puntano alla celebrità.
c. La pazzia è contagiosa.
Perché non è possibile che la signora Annamaria Franzoni, condannata a trent’anni per l’assassinio del figlio, ora lavori come baby-sitter. Ma ciò che turba, è che le madri dei bambini che ha in custodia non trovino nulla di strano in questo. La pazza, evidentemente non è lei. "Annamaria la conosciamo bene - dice una di queste mamme - è così tenera e affettuosa, così capace di tenere mio figlio, che io dormo sonni tranquilli". Finché non arriva Nightmare.
“Certo, se un bambino si facesse male chissà cosa penserebbe tutta Italia”, dice la Franzoni. Il problema non è farsi male. Il problema è che se si fa male in quel senso, non bastano i cerottini di Paperino.
Io non le lascerei nemmeno il gatto.

giovedì, maggio 18, 2006

Missing


C’è un campionario di oggetti - per lo più in voga fra gli anni Cinquanta e Settanta - che ogni famiglia rinnega, ma che ogni famiglia è colpevole di aver ospitato nelle proprie case.
Sul viale del tramonto di questi orripilanti monumenti al kitsch - ovvero nella fase pre-minimalista dell’arredamento domestico - c’era chi cercava di giustificarsi asserendo di averli ricevuti in regalo e di aver tentato, senza successo, di eliminarli. Ricordo che all’indomani del terremoto mia madre corse in cucina con la speranza di trovare in frantumi il servizio di bicchieri color turchese, regalo di nozze: per mia grande gioia si salvarono e, visto che ora il kitsch è tornato di moda, li ho pretesi in dote. Ovviamente continuo a considerarli più che brutti, ma per un’inspiegabile ragione mi piacciono.
I bicchieri comunque sono stati gli unici superstiti dopo l’emancipazione degli anni Ottanta. Ricordo oggetti terrificanti alla vista, come un grande posacenere in ferro a forma di mosca con l’ala che si alza per “depositare”. E poi l’airone cenerino imbalsamato che tenevamo in salotto, grande trofeo venatorio di mio padre, da esibire con orgoglio così come la testa di capriolo e il leprotto: non si può certo negare che io e mio fratello fossimo cresciuti in mezzo agli animali, benché cadaveri. Altra chicca erano i funghi di cemento in cortile, per fortuna eravamo in affitto. E poi il lampadario arancione in cucina, quello che faceva sonno. Giuro di aver visto recentemente alcuni appartamenti di mare che emanavano questa luce impossibile, e non era Croazia.
Casa mia, comunque, non si collocava fra i migliori musei del kitsch, anzi tutt’altro: c’era qualcosa sì, ma non particolarmente soddisfacente. A parte la mosca, certo.
In giro ho visto di peggio: vere e proprie botteghe dell’orrore, in cui dimoravano senza pudore pezzi di imbarazzante bruttezza, come la lampada con i frammenti luminescenti che si depositano lentamente sul fondo una volta che la capovolgi. Quand’ero piccola ne avrei voluta una, ma mia madre non avrebbe mai preso in considerazione l’ipotesi. Poi c’erano i vasi portafiori a forma di cigno e i cuscini multicolore di lana lavorata a uncinetto, quelli che generalmente trattenevano i peli del gatto. La tovaglia cerata, che peraltro puzzava di gomma, la casetta di legno con l’omino e la donnina che escono alternandosi a seconda del tempo (e in qualunque caso più efficaci dell’Osmer), le matrioske, le maschere veneziane e le inquietanti bambole di gesso, quelle che ricordano il Triangolo delle Bermude.
Dal souvenir nessuno poteva esimersi: i più frequenti erano la gondola di plastica con lux perpetua rossa incastonata, e la torre Eiffel di ferro, utile per battere i chiodini in assenza di un martello a portata di mano. Le bambole in abito tradizionale chiuse nel cilindro di plastica trasparente, poi, erano la gioia di chi le riceveva, per non parlare delle varie sculture di conchiglie assemblate. Il top, comunque, credo l’abbia raggiunto mio fratello quando portò da Barcellona un toro di velluto con banderillas inflilzate: mancava solo la colata di sangue. Io mi limitai a una bella alabarda da San Marino.
Ma veniamo agli esterni. Oltre i già citati “sgabelli” di cemento a forma di fungo, andavano alla grande i ben più famosi nanetti con tanto di Biancaneve, un must dei nostri giardini. Credo comunque che l’oggetto più orripilante in assoluto sia il lampione-ragno collocato sopra o a fianco la porta d’ingresso: poco invitante a procedere per chiunque, ma per me - aracnofobica da sempre - disgustoso oltre ogni limite. Tremendissimi anche i leoni modello San Marco posti in cima alle colonne dei cancelli. Io ne ho visto un paio con un pizzico di fantasia in più: due luci rosse al posto degli occhi. Non si sa mai, un po’ di nebbia... Prestino attenzione gli infartuati.
Per chiudere il circo Barnum delle mostruosità, tre “pezzi unici” che tutti ascriverebbero all’albo del cattivo gusto, tranne i proprietari. Raggiunge apici di alto lirismo la casa di mia cugina che svetta in testa alle classifiche del kitsch con una porta imbottita di velluto matelassé, un’acquasantiera formato gigante che i più scambierebbero per vespasiano, e un murale raffigurante degli oblò da cui si intravede il sistema planetario. Se ci fosse un Nobel per la categoria, avrei una cugina famosa.

lunedì, maggio 15, 2006

Chi è

Chi è quell’essere vivente che si aggira per casa scalzo, inconsapevole del fatto che il piede lascia più impronte della pantofola. Che passando dalla cucina, ritualmente apre la porta del frigo per vedere se nell’ultima mezz’ora per caso si è materializzato qualcosa di nuovo. Che prende l’ultima merendina e lascia il sacco vuoto nell’armadio. Che sa cogliere sempre il lato inutile della micro-manutenzione domestica. Che, se esce a comperare un chiodo il sabato pomeriggio, deve per forza transitare per il campo sportivo. Che se beve una birra, non ne può bere solo una, ma nei mesi di ramadan non tocca nemmeno una goccia e si scola litri di Cocacola. Che ti dimostra con tesi inconfutabili l’inutilità di rifare il letto ogni mattina. Che si infila i calzini dopo aver messo i pantaloni. Che lascia per sei mesi in lavanderia la giacca che non gli piace. Che aspetta di sentirsi meglio fisicamente, prima di sottoporsi alle analisi del sangue. Che chiama qualsiasi suo simile “Ciccio”. Che ti lascia il telecomando solo quando è certo che nessuna rete trasmetta qualcosa inerente al calcio. Che ti aspetta con aria insofferente e le mani in tasca quando entri in profumeria, e non capisce che senso abbia annusare anche i profumi che conosci già. Ma che passa ore ad ispezionare nei minimi dettagli le scarpe da calcio che deve comperarsi, ti chiede consiglio, liquidandoti poi con un si- vede-che-non-capisci-niente. Che dice “arrivo fra un’ora” e ne passa almeno un’altra. Che sbuffa ogni volta che ti sorprende con una pianta nuova, ma se non ti coglie sul fatto, non se ne accorgerà mai. Che quando non ha voglia di parlare, dice che è stanco anche se è in ferie. Che ci mette quasi una giornata intera a scegliere carne e birra per la griglia. In compagnia, of course. Che non concepisce il senso delle candele in casa, a un secolo dall’invenzione della corrente elettrica. Che non ripone mai i tuoi cd nella custodia. Che spera di non dover mai trascorrere una mattina con te, per non rischiare di dover parlare prima della dieci. Che se prende l’iniziativa di usare una tua crema per il suo corpo, al novanta per cento sceglie la crema-viso più costosa che hai. E che quando cerca di sottrarsi alla tua ira funesta dicendo che te la ricomprerà, non può nemmeno lontanamente immaginare che tu non puoi rivelargli quanto costa quella crema. Che nasconde le chiavi della sua macchina, perché tu non possa pulirgliela, e poi non le trova più. Che quando prende la tua di macchina, sposta sedile e specchietti e non li rimette mai come prima. Che attiva la domanda “dov’è?” più velocemente del tentativo di cercare da solo.
Chi è.
E soprattutto: voi donne siete davvero convinte che sia stata proprio la costola, quella che il Signore ha tolto all’uomo?

domenica, maggio 14, 2006

Grazie del Fiore!

Se il buon giorno si vede dal mattino, per me è sempre un buon giorno, quando riesco a salire in macchina verso le sette. Mezz’ora in più, può cambiare tutto e affrontare la giornata con il noioso CISS-Viaggiare Informati o l’avvilente GR2 è un’altra cosa. Certo, aggiornarsi è d’obbligo. Ma se prima della panoramica sul Governo, la computa degli arabi che si fanno saltare in aria e i piagnistei di Moggi, ci possiamo fare quattro grasse risate, tanto meglio. Una rapida iniezione di buon umore è quanto basta per scacciare il ricordo del cuscino abbandonato e quello della scrivania che attende. A pensarci ci sono Marco Baldini e Fiorello, alias Camilleri dall’ugola incenerita, Mike Bongiorno, Gianni Minà dal Club Fidel di Cuba (con gli amici Paco Peña e Ivan Pedroso...), Smemo - mitico e intramontabile Smemo - anche se il riferimento (per fortuna) è in declino. E non parliamo poi dei collegamenti con il Quirinale, ancor più coloriti da quando a palazzo tira un’aura partenopea. Una sferzata di pura allegria, non c’è che dire. Con un palinsesto televisivo sempre più noioso, la salvezza ci viene dalla radio, che regala queste piccole perle di sana satira. Senza per altro pagare un centesimo di canone. Peccato per chi è schiavo delle immagini, si goda pure Unomattina. Io mi concedo quattro risate, che non fanno mai male. E se perdo il turno, c’è sempre Il ruggito del coniglio...

venerdì, maggio 12, 2006

Fiore di maggio



...e quel sole ce l'hai dentro al cuore...

Ben arrivata, Benedetta, e che la vita ti sorrida sempre!

mercoledì, maggio 10, 2006

Chi l'ha votato?


E’ ormai noto che l’undicesimo Presidente della Repubblica Italiana è il senatore a vita Giorgio Napolitano. Fresco di elezione e neanche il tempo di un brindisi, si congeda dall’assemblea dei mille aprendo al pubblico un’agenda già fitta di appuntamenti per i prossimi giorni: basta temporeggiare, è ora di dare la fiducia al nuovo governo. I più reagiscono con una smorfia: le vacanze son finite prima del previsto ed è giunto il momento di rimettersi sui banchi di Montecitorio e Palazzo Madama. Nel frattempo le brutte cere d’inizio aprile hanno ripreso colore, e quest’anno anche i poveri comunisti possono permettersi le spiagge. Perfino Diliberto sfoggia un’inedita tintarella, mentre D’Alema purtroppo ha avuto la sfortuna di trovarsi Casini come vicino di ombrellone, anche se – ci tiene a precisare – "lui era in un hotel a cinque stelle con Jacuzzi mentre la mia stanza aveva il bagno in corridoio". Come dire, abbiamo vinto, ma siamo pur sempre vicini al proletariato.
Nel frattempo al quartier generale di Arcore si stanno organizzando gli striscioni per l’annunciato “sciopero fiscale”. Il versatile ex premier svelerà la sua ennesima trasformazione? Dopo il Presidente Operaio, vedremo dunque il Presidente Contestatore: una promessa per tutti. Peccato che lui e i suoi compagni di merende lo sciopero fiscale lo facciano già da anni...
Non stupiscono i cinque voti a lui destinati, quanto i 42 concessi a Bossi. Abbiate pazienza, ma vogliamo trasformare il Quirinale nella Casa della Quiete? Prima la minaccia di un Ciampi che avrebbe concluso il suo mandato novantaduenne, quando probabilmente la maggior parte dei suoi elettori sarebbe passata già a miglior vita; poi l’incubo di un Presidente che si aggira per le stanze del palazzo romano con flebo e catetere: ma vi immaginate come sarebbe stato il discorso di fine anno? Probabilmente concluso all’Epifania.
Infine quello che lascia più sconcertato è la barzelletta dell’Emiciclo: i sette voti di Ferrara. Ma chi può aver votato Giuliano Ferrara?! Forse che la sclerosi abbia indotto qualcuno dei nostri vecchietti a confonderlo con l’esimio padre? Non possono essere stati ancora Mastella e i suoi bravi. E chi allora? Chi può aver immaginato un essere come Giuliano Ferrara alla presidenza dello Stato? Forse è da rivedere la proposta di legge sui 23 spinelli consentiti. Ad ogni modo, questo è il quiz del giorno. E mentre tutti si guardano con sospetto e incredulità, c’è qualcuno che giura di aver visto Ritanna Armeni aggirarsi per il Quirinale con la scure in mano...

martedì, maggio 09, 2006

Meteorologia, scienza occulta



Che non ci siano più le mezze stagioni, è cosa ormai nota. Che il cielo a pecorelle, porti pioggia a catinelle, anche. E pure “rosso di sera bel tempo si spera e rosso di mattina la pioggia si avvicina”, è ormai una garanzia. Ma allora, che ce ne facciamo di fior fior di meteorologi, quando non sanno nemmeno sbirciare dalla finestra per accorgersi che il cielo è diverso da come figura nelle loro previsioni?
L’Università sostiene che, alla fine del corso triennale, i laureati in Meteorologia ed Ambiente “avranno acquisito conoscenze dei fenomeni meteorologici a tutte le scale, da quella microfisica a quella sinottica, dei sistemi osservativi e delle tecniche di telerilevamento dell'atmosfera. Avranno inoltre competenze sull’ambiente atmosferico derivate dalla più generale conoscenza della fisica dell'atmosfera e dei sui processi”.
Ma mia nonna, che non era laureata in Meteorologia e Ambiente e si affidava unicamente ai dolori reumatici che con l’umidità si accentuano, alle formiche che prima della pioggia corrono, al cerchio intorno alla luna, alla fogna che puzza, alla direzione del vento e quant’altro, mia nonna azzeccava di più.
Più che uno scienziato, il meteorologo pare la Sibilla cumana. Sì, perché con il tempo, è diventato più astuto, attribuendo i suoi fallimenti a un’errata interpretazione da parte dell’utente. Il metodo è semplice e si basa su una simbologia “furba”: soli, nuvole, lampi e gocce si sono ingranditi, così da coprire zone sempre più vaste. In più, l’abbinata di sole e nuvola gioca sull’equivoco. Se vale la pena avviarsi verso il mare, potrai scoprirlo solo arrivato in spiaggia, perché nella cartina figura un sole dietro la nuvola che copre l’area dalla costa alla pedemontana. Così il meteorologo si mette al sicuro. E io, che sono abbonata all’Osservatorio Meteorologico Regionale e ricevo puntualmente gli aggiornamenti, mi sono rassegnata a ritornare ai vecchi metodi. Così, la prossima volta che vado a Venezia, mi compro una di quelle statuette rosa che cambiano colore.

Mi tierra

Se lì, da sola, nessun altro paese vicino a te. Posso scorgerti da lontano, lungo la strada inerpicata che dalla costa porta alla sierra. Una collina dopo l’altra, terra rossa, terra gialla macchiata di nuvole che si specchiano, terra di ulivi, terra di viti e, in lontananza, la rocca. E poi tu, bianca distesa di case, adagiata tra le due cime. Ancora non vedo il ponte, né l’orrido, ma l’ansia mi riempie l’anima.

Lost in the shop


Pare che non siano scomparse solo le mezze stagioni e le lucciole a maggio (già, le lucciole. Ma chi si ricorda più cosa sono?). Esemplari in via di estinzione si registrano anche fra gli scaffali del supermercato. Lasciamo stare i sapori dell’orto, per non autorizzare i coltivatori diretti (guai a chiamarli contadini!) ad aumentare ulteriormente i prezzi: pomodori, insalata e cetrioli rimangono quelli di una volta, e se non c’è abbastanza sapore, basta un buon olio e aceto balsamico. Quello che intendo, invece, è una parte di letteratura culinaria nata negli anni Settanta e destinata all’oblìo, per lo più prodotti trash e comunque niente di particolarmente salutare. Calma: volendo si può trovare tutto, ma il sapore è cambiato.
Una menzione speciale va all’Ovomaltina, quella con il barattolo arancione, che si trova, sì, ma non sa più di malto e uovo. Dicono che la versione originale sia reperibile nella più tradizionale Svizzera. Nemmeno i biscotti Plasmon, che per quel sapore un po’ amarcord piacciono più agli adulti che ai bambini, sono più gli stessi: sembrano quasi gli Oro Saiwa, per altro nemmeno l’ombra del classico biscotto “secco” che si disintegrava al contatto con il the carcadé, anch’esso piuttosto demodé. Fedeli all’originale invece gli Steccalatte e gli Atene, forse perché stanno negli scaffali da trent’anni e nessuno se n’è mai accorto. Anche casa Pavesi ha i suoi default, con i Ringo, che non corrispondono ai ricordi (bene la crema, ma il biscotto perde, specie il bianco) e i Togo, oramai trasformati in quattro versioni. Anche il Gran Turchese non è più lui. Mulino Bianco sforna continuamente new entry, ma perde i Mugnai, rari i Galletti e i Settembrini (per altro spuria imitazione dei classici Strudel), soppiantati dai Cuor di Mela.
In campo snak la situazione rimane per lo più invariata, anche perché all’origine c’era poco: della vecchia guardia rimangono Kinder Brioche, Girella e Buondì Motta. Tutto il resto è storia recente. Qualche sostituzione con le cioccolate: il Raider è diventato Twix e le Trees adesso si chiamano M&M’s, solo con qualche colore in più. Scomparso il Galak, quello del delfino, e rari anche i Ciocorì.
Brutte notizie anche dal reparto surgelati, dove siamo ormai alla quinta generazione. Di vecchio ci sono i Bastoncini Findus, sempre più smilzi. Introvabili invece i Sofficini al gusto di carne, spariti dalla circolazione ai tempi della mucca pazza, chissà perché. Peccato, però.
Il banco formaggi sta perdendo il Dover e i formaggini Susanna, quelli che ti facevano vincere la bambola gonfiabile e il coccodrillo. Diverso anche il Mio, che non fonde bene con la minestra e le tempestine, e poi non ci sono gli adesivi imbottiti di Disney, quelli da attaccare al frigorifero.
Yougurt di ogni specie hanno cancellato dalla faccia della terra il Galbani, mentre una meteora durata poco più un anno rimane nei ricordi di pochi (a parte quelli che hanno assaggiato): le sottilette al cioccolato.
Lo scaffale dei preparati perde poco, anche perché c’era già poco. Quando la minestra veloce era solo la Knorr e ce n’era una, adesso il sapore di quell’unica si ritrova a malapena nella versione ai piselli. Neanche il puré Pfanni è lo stesso, sembra quasi di sentire le patate. Quanto ai ragù, i Barilla e Buitoni hanno preso il posto del classico, inimitabile Sugoro, quello nella lattina piccola, che tingeva il piatto di un rosso indelebile.
Piccola parentesi per i saponi: scomparsi il Lux (con la faccia della Fracci), il Camay, il Zest, il Nordika (“freschezza del Madagascar”), il Cleo (già anni Ottanta) e il Palmolive prima versione. Resiste invece il bagnoschiuma Vidal al lime dei Caraibi, ma il cavallo bianco temo di no. Chiusa parentesi.
Infine bibite e alcolici. Introvabili ormai Rossoantico, Very Cora, amaro Diesus, Mandarinetto Isolabella, Borsci Sammarzano, e Sambuca Molinari, hanno ripreso quota il Cinar e il Batida de Coco. E mentre fanno la loro ricomparsa la Cedrata Tassoni (quella che fa venire i denti gialli) e la Spuma (qualcuno forse non sa nemmeno cosa sia), la Fabbri ripropone lo sciroppo al latte di mandorla e l’orzata. Con poco successo, ma d’altra parte, già a quei tempi anche io preferivo l’amarena.

lunedì, maggio 08, 2006

Dal vostro amichevole Spiderman di quartiere



E’ così che si firma, anche se del supereroe non ha né il coraggio né il fisico. Ha otto anni appena compiuti, questo piccolo essere tutto ossa e nervi. Un cespuglio di capelli che raramente vedono il pettine, qualche dente di meno e una naturale propensione alla nudità. D’estate gira scalzo e in mutande, se potesse anche senza; d’inverno si libera dai vestiti appena entra in un luogo familiare.
Si presenta quasi sempre con la passione di turno, attualmente un pinguino di peluche. Ha un fiuto eccezionale per la cioccolata, che divora a palate. Non disdegna l’aperitivo con gingerino, olivetta e patatine: è stato abituato così ed ora lo considera un rito. Se non glielo offri, è lui a chiederti di brindare. Sì, ma a cosa? “A Prodi”. Da quando la sinistra è andata al governo e abbiamo festeggiato insieme, ogni momento è buono per il vizioso tributo. Se la dittatura fascista tornerà al potere, brinderemo ancora per Prodi. Beata ingenuità.
La grafia non è il suo forte – scrive le lettere al contrario – e disegna peggio, per lo più in monocromia. Ma si esprime con una correttezza sorprendente, tanto che molto probabilmente sarà uno dei pochi italiani a tramandare l’uso del congiuntivo. Ragionamenti e deduzioni di una lucidità disarmante, e una fantasia che potrebbe competere con la letteratura favolistica di tutti i tempi: ne è prova il nutrito repertorio di bugie che racconta senza il minimo senso del pudore. Non ha ancora ben chiara la differenza tra finzione realtà: sostiene di essere in grado di creare la fusione nucleare e non capisce il perché potresti anche non crederci. Presume che Spiderman esista, mentre su Babbo Natale ha qualche riserva…
Caparbio, intransigente e tutt’altro che paziente, ha uno scopo ben preciso nella vita: diventare uno scienziato. Tesoro, quando il fondo italiano per la ricerca ti costringerà ad emigrare in America, scegli una località di mare, magari sul Pacifico, e ricordati che hai una zia. Per la scienza sacrificherebbe anche l’amore. Le donne non gli piacciono, in quanto troppo romantiche. Inoltre, se dovesse individuare una scoperta da Nobel, una femmina non farebbe altro che intralciarlo nel suo operato e magari estorcergli la formula. Per cui ha deciso di non sposarsi. Eppure c’è già una donna significativa nella sua vita. Alla festa di compleanno, una bellissima bambina dai lunghi capelli biondi piangeva come una disperata perché avevano litigato. Si sa, è proprio intorno agli otto anni che il cuore comincia ad avere i primi piccoli palpiti. Cara, non vale la pena piangere per un maschio. Specie se questo maschio è sdentato. Guardalo, non è ridicolo? Con quel papillon che gli conferisce la potenza del suo eroe - attualmente Il Pinguino - guida arrogante la piccola brigata e pretende che tu gli debba delle scuse. Ma le donne, è chiaro a tutti, sono sempre più avanti. Lei gli aveva già scritto “ti amo” quando lui – dal seggiolino dell’auto – doveva farsi tradurre quei geroglifici allora incomprensibili. Verrà il tempo delle mele. Adesso è troppo presto, è ancora il tempo degli eroi. Anzi, degli anti-eroi. Sì, perché lui ama i cattivi, gli sembrano più coraggiosi. Chissà se la biondina sa che questo intrepido piccolo uomo ha una fifa tremenda dei fantasmi… Non è quello che si definirebbe propriamente un eroe senza macchia e senza paura. La paura c’è tutta, e le macchie, volendo, anche.
Anticonformista a tuttotondo, rifiuta qualsiasi tipo di sport ad eccezione delle bocce, perché “è uno sport da vecchi” e lui ambisce alla pensione. Ancora non sa.
Non ama particolarmente stare all’aria aperta, preferisce chiudersi in casa e giocare con il Lego. Se corre, suda. Dice.
Un personaggio, non c’è che dire. Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Eppure a volte, quando ha i suoi momenti “no”, ti verrebbe da neutralizzarlo finché non ritorna in sé.
Ma quanto mi ha cambiata questo bizzarro esserino, dal giorno in cui è comparso sulla terra! Ho imparato a vedere le cose secondo una prospettiva diversa. E’ stato il primo bambino che ho visto nascere, muovere i passi e abbozzare le prime parole. Cosa c’è di strano, qualsiasi bambino lo fa. Sì, ma lui è speciale. Non mi piace semplicemente perché è piccolo e - come (quasi) tutti i piccoli - divertente. Lui mi ha conquistata per due caratteristiche che in una persona considero preziose: la passionalità e la capacità di saper ridere. Fin dai primi mesi rideva sempre, con la bocca sdentata e gli occhi luminosi. Rideva di piacere, buttando la testa all’indietro. Anche nelle giornate più nere, il suo sorriso contagioso ti faceva dimenticare tutto.
E poi è passionale: non sta nella pelle quando deve parlarti di una cosa nuova, non riesce nemmeno tener fermi i piedi, salta ovunque, gesticola, balbetta. Entusiasmo allo stato puro. Fervore. Le persone che cerco sempre io, e che purtroppo si stanno estinguendo…
Ci saranno altri bambini, ma tu sarai sempre speciale, mio amichevole Spiderman di quartiere.

Da "Dialoghi con l'Amichevole Spiderman di quartiere"

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domenica, maggio 07, 2006

I Quindici

C’era una volta un’enciclopedia per bambini che si chiamava I Quindici. Ogni volume aveva il dorso di colore diverso. Io non ce l’avevo, ma andavo a leggerla dai miei cugini, i quali erano piuttosto seccati dal fatto che andassi a casa loro non già per giocare, ma per leggere. Così, snobbando dinosauri e gommosi rettili di varie specie, correvo dritta alla libreria e sceglievo quasi sempre il mio numero preferito, quello con le filastrocche. Mi ricordo di Pierino Porcospino, di Cincirinella che aveva un podere, dell’omino con la lampada che usciva di notte. E anche di quella terrificante immagine della bambina che mangia il gelato sotto un albero mentre dal ramo si cala un grosso ragno. Mi piaceva anche il volume della geografia: è lì che ho letto dei fuochi di Sant’Elmo che si prendono con le mani. La generazione delle enciclopedie è superata, figuriamoci quella de I Quindici! I bambini imparano tutto da internet e non partono certo da Pierino Porcospino. Mancano le filastrocche, quello sì. E forse anche le favole a lieto fine, ma se le cose devono prendere questa piega, lasciamo che la storia faccia il suo corso.
Io però mi costituisco: se trovassi in circolazione un Quindici, ammetto che gli offrirei asilo politico.

6 maggio 1976

Ne hanno parlato tutti, ma da domani il caso sarà già archiviato fino al prossimo anniversario. C’è chi dice che c’è poco da festeggiare, che forse è meglio dimenticare. In fondo sono già passati trent’anni. E chi invece, con una punta d’orgoglio, ama sottolineare il coraggio con il cui la gente ha reagito. Io non commento, ognuno pensi per sé e non decida anche per gli altri cosa è giusto o no. Almeno quando non a tutti è toccata la stessa sorte.
Quella sera di maggio – quando in maggio si sentiva già i grilli cantare – faceva molto caldo. La scossa non è stata nulla di traumatico, poiché non mi rendevo conto di cosa stesse succedendo. Nell’ingenuità dei miei quasi sei anni, ero convinta che le due donne grasse, che abitavano le case affiancate alla mia, stessero scendendo le scale in contemporanea.
Ci siamo ritrovati in cortile senza capire ancora l’entità del sisma, in fondo c’era solo qualche mattone a terra e con il buio non si vedeva nulla. Ma da lì a qualche ora, una scena allucinante e indimenticabile ha chiarito tutto: la strada statale era diventata una serpentina di luci blu e la sirena delle ambulanze suonava ininterrotta per tutta la notte. Non si è saputo niente, per molte ore. Non c’era corrente, i telefoni non funzionavano. Il giorno ha svelato l’orrore, e il resto è storia.
Dei mesi successivi non posso che avere ricordi di cui dovrei vergognarmi a parlare. Per molti è stata la fine, ma per me è cominciata l’era delle scoperte e uno periodi più belli della mia infanzia, già che non percepivo la gravità della disgrazia.Passavo tutto il giorno con gli altri bambini, anche quelli più grandi che prima non ti badavano. Ho scoperto le colazioni di gruppo con i miei cugini, il latte con Ergosprint al posto dell’Orzobimbo. La tavola allungata anche per cena, un inedito mangiare tutti insieme. Chiaramente agli adulti – specie alle nostre madri – questo non andava a genio, ma per noi bambini era un lusso. Nessuno poteva sgridarci, e poi c’era lo scambio dei cibi: il prosciutto cotto invece del crudo, la Nutella al posto della marmellata. L’acqua Panna che sostituiva la minerale fatta con le bustine perché l’acqua del rubinetto non era potabile, anzi era addirittura gialla. Odore di disinfettante ovunque. Si stava con i nonni e si andava a letto tardi la sera. Avrei voluto che quel periodo non finisse mai, e la promessa che saremmo ritornati al più presto a casa nostra – per altro nemmeno danneggiata – era quasi una minaccia incombente. Mi rassicurava solo una cosa: le pagine del giornale sempre bianche, e i commenti che lasciavano percepire ancora pericolo. Allora non sapevo che erano i grafici delle scosse registrate durante la giornata.

giovedì, maggio 04, 2006

Jackie





“I want to live my life,
not record it”
Jackie





Jackie, mia unica icona di stile!
Con classe ed eleganza, discreta originalità e sottile audacia, hai consegnato alla storia un grande personaggio.



martedì, maggio 02, 2006

L'amicizia

“L’amico è uno che ha molta gelosia di te, per ogni tua pazzia ne fa una malattia, tanto che a volte ti vien voglia di mandarlo via. Però lui sa, l’amico sa, il saper vivere che piace te… Litigheremo sì, e lo sa lui perché. Perché un amico, anche bugiardo, è…”.

Non puoi sapere cos’è un amico, finché non ne trovi uno vero. Può essere al massimo un’imitazione, un legame provvisorio o superficiale: ma l’amico è altra cosa. E quando te ne rendi conto, solo quella volta capisci la fortuna che hai.
Per lo più l’amico è unico, e non sempre un retaggio dell’infanzia o dell’adolescenza, anzi: più vai avanti con gli anni, e più hai la possibilità di scegliere con maggiore consapevolezza.
Una sera mi è stata presentata una ragazza affascinante, abbiamo bevuto un bicchiere e mi ha detto “Sono sicura che noi diventeremo amiche”. Sbalorditivo. In un posto di gente ermetica come questo, mi sembrava irreale come la scena di un film. Ma le nostre chiacchierate diventavano sempre più lunghe, e così è stato.
Passano gli anni e fra noi non ci sono mai silenzi, le nostre vite ci appartengono. Non è come una sorella, perché una sorella non la scegli, anche se la la gente chiede all’una dell’altra come se fossimo di famiglia. E ci invidiano, anche se non sanno che un’amicizia va coltivata con pazienza, come qualsiasi legame affettivo.
Si litiga, spesso per un niente, mettendo alla prova la potenza dei telefoni e la resistenza dei rispettivi timpani. Ma poi ci si ritrova, e un abbraccio risolve tutto.
Lei è esplicita e pretende che le cose vengano dette senza riserve; io sono meno espansiva e più diplomatica. Ma abbiamo imparato a conoscerci e prevenirci. Un sesto senso le permette di capire dallo sguardo, o anche dal tono della voce, se ho un brutto momento.
Non ci somigliamo molto, anzi per niente. Né i nostri gusti sono simili, ma ci piacciono le belle cose. Non sempre si può condividere le abitudini non comuni, anche se lei ha cominciato a grigliarsi in spiaggia e io a calpestare la neve. Ma ballare piace a entrambe, e quante serate revival abbiamo passato insieme… “Chi se ne frega se non balla nessuno, andiamo noi e vedrai che poi vengono anche gli altri!”.
Abbiamo riso e abbiamo pianto. Ma la cosa più bella dell’amicizia, è parlare del passato senza avere dubbi sul futuro.


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